Il lavoro di un alchimista.
COME OPERAVA UN ALCHIMISTA
Per far capire come pensavano i grandi studiosi riporto una testimonianza rara, alcune righe di Newton che fanno intuire il suo interesse per l’ alchimia (King’s College Library, Canbridge, Keynes MS 33, riportato da Michael White in “Newton, l’ultimo mago”):
“L’ alchimista non ha a che fare con i metalli, come credono i volgari ignoranti, commettendo un errore che li ha indotti a tormentare questa nobile scienza …… Questa filosofia non è del tipo tendente alla vanità e all’inganno, ma piuttosto al benessere e all’edificazione, giacché dapprima spinge alla conoscenza di Dio e in secondo luogo guida alla scoperta di autentici rimedi per le sue creature ……. Lo scopo è quello di glorificare Dio nelle sue opere meravigliose, di insegnare all’uomo a vivere bene ….. Questa filosofia, rivolta al tempo stesso alla speculazione e all’azione, non è custodita solo nel volume della Natura, ma anche nelle sacre scritture, per esempio,nel libro della Genesi, in quello di Giobbe, nei Salmi, in Isaia e in altri ancora.”
Andiamo ad analizzare come operava un alchimista, da cui si potrà evincere come l’ alchimia può essere paragonata alla magia, ad una scienza occulta! Perché si può operare tenendo presente la libera percezione, penetrando nei fenomeni surreali o soprannaturali. L’ alchimista cominciava il suo lavoro mescolando in un mortaio tre sostanze, un minerale metallico (solitamente ferro), un altro metallo (piombo o mercurio) e un acido di origine organica (in genere acido citrico ottenuto dalla frutta o dalla verdura); queste sostanze, lavorate per mesi, venivano ridotte in polvere ottenendo così un miscuglio che veniva riscaldato in un crogiolo in cui la temperatura veniva aumentata costantemente fino ad arrivare ad un valore ottimale che veniva mantenuto fino ad una decina di giorni. Dopo tale procedura il materiale residuo veniva rimosso dal crogiolo e disciolto in un acido, questo processo doveva avvenire con una luce particolare, per questo gli alchimisti solitamente procedevano alla luce della Luna. Una volta che il materiale si era disciolto si procedeva facendo evaporare il solvente e ricostituendo il materiale, cioè si procedeva alla distillazione. Questo ultimo passo era il più importante per un alchimista e poteva richiedere anche anni, infatti essi erano convinti che il momento in cui la distillazione dovesse essere fermata fosse determinato da un “segno”; dopo di ciò l’ alchimista aggiungeva un agente ossidante al materiale rimosso dal distillatore e la misura ottenuta veniva sigillata in un contenitore speciale e riscaldata, dopodiché veniva opportunamente raffreddata e si poteva osservare la formazione di un solido bianco che gli alchimisti credevano fosse la pietra filosofale. Ovviamente gli appunti che descrivevano tale procedura erano scritti in modo allegorico e con simboli particolari. Se alla fine dell’esperimento descritto l’alchimista si accorgeva di avere fallito, l’insuccesso si diceva fosse dovuto alle condizioni astrologiche non propizie o a qualche influenza malevola.
Newton era convinto che nell’alchimia ci fosse anche una buona dose di spiritualità, e fece riferimento a questa dimensione spirituale in una nota alchemica :
“Io ricevetti quest’arte e questa scienza per ispirazione di Dio, che si degnò di rivelarla al suo servo. Egli concede a chi sa usare la ragione il mezzo per conoscere la verità …….. “(King’s College Library, Canbridge, Keynes MS 27, riportato da Michael White in “Newton, l’ultimo mago”).
Tra quanto descritto e la Chimica non c’è affinità? O tra quanto descritto e un rito pagano in cui le persone mescolano erbe in un mortaio recitando cantilene alla luce della Luna? Io ritengo che, tutto ciò che si porta avanti convinti di cercare rimedi per i dispiacere dell’uomo, siano essi metodi razionali o esoterici, siano comunque validi.
Colleghiamo le ricerche alchemiche di Newton con la sua ricerca della gravitazione universale. Senza dilungarmi troppo, per non annoiare i lettori, mi limiterò a dire che Newton, usando in un esperimento l’antimonio (sostanza che, se purificata, sembra avere affinità con l’oro), formò con esso una sorta di amalgama chiamata “regulus”; i reguli erano composti cristallini con un aspetto raggiato che potevano essere pensati come linee di luce che s’irradiano da un centro, oppure come linee di luce che puntano verso l’interno, cioè “linee di forza” dirette verso il centro. Newton pensò che linee di forza potessero esistere anche nell’universo e si pensa che proprio da questi esperimenti Newton si convincesse sempre più delle varie forze operanti nel cosmo.
Mi fermo qui perché capisco che il discorso scientifico potrebbe non interessare, ma desideravo mettere in relazione la scienza e l’esoterismo per far sì che menti poco aperte smettano di criticare chi opera con la magia o l ’alchimia.
Selene
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